LIMITI ELETTROMAGNETICI: ECCO PERCHE’ VOGLIONO AUMENTARLI

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L’atto di indirizzo approvato dalla Commissione IX (Trasporti, Poste e TLC) della Camera dei Deputati il 24 marzo scorso, circa la “opportunità di adeguare gli attuali limiti italiani sulle emissioni elettromagnetiche a quelli europei”, nell’ambito del parere sul PNRR, rappresenta l’ultimo, in ordine di tempo, di una serie di tentativi con cui, l’industria delle TLC, per bocca dei governi di turno in carica, ha provato, a più riprese, ad innalzare (“adeguare” o “armonizzare” è offensivo!) le soglie legislative in vigore nel nostro Paese.

L’evoluzione delle tecnologie di comunicazione mobile (dal Tacs, al 2G, dal 3G all’LTE) è stata accompagnata, nella storia delle TLC, da periodiche richieste di scardinare il sistema di vincoli, in vigore in Italia grazie alla Legge Quadro 36/2001.

I Piani strategici sulla Banda Ultralarga e la Crescita digitale, varati dal Consiglio dei Ministri negli anni precedenti, indicavano già la necessità di “adeguare” le soglie elettromagnetiche a quelle degli altri Paesi europei.

Tuttavia, le incisive proteste animate dall’associazionismo e dalla società civile, hanno sempre costretto i governanti di turno a desistere dallo scellerato proposito.

I fatti ci hanno dato ragione: le tecnologie fin qui susseguitesi si sono diffuse capillarmente secondo uno schema di stratificazione e seguendo i piani degli operatori, ma mai incidendo sui tetti elettromagnetici vigenti, con ciò sconfessando i sostenitori dell’innalzamento delle soglie ad ogni costo.

L’avvento del 5G ha puntualmente riproposto il tema, riportando alla ribalta l’esigenza, per le Telco, di avere mano libera nella implementazione delle nuove reti di comunicazione mobile, senza ostacoli in grado di penalizzare lo sviluppo tecnologico.

Ma guardiamo più da vicino le ragioni per cui gli operatori dell’industria TLC spingono per ottenere modifiche in alto delle soglie di elettromagnetismo in Italia.

A.  Sotto il profilo tecnico emerge l’esigenza di ricorrere alla tecnologia del co-siting, cioè l’utilizzo di una sola postazione per una pluralità di antenne, pratica affermatasi con lo sviluppo del Gsm (2G), proseguita con l’avvento dell’Umts (3G) e oggetto di una forte implementazione con l’LTE (il 4G, ovvero i servizi di banda larga e ultra larga – BUL).

Tale scelta, indotta da politiche di riduzione dei costi (concentrare più impianti nelle medesime postazioni è evidentemente più economico), si è tuttavia infranta sul muro dei limiti di legge attualmente vigenti in Italia (6 V/m), i cui valori – secondo le stime degli operatori – verrebbero superati proprio con il ricorso al co-siting. Da qui la pressione per “aggiornare” le soglie, addirittura fino a 61 V/m !

Ora, il bisogno per le imprese di ridurre i costi, radunando in coubicazione più antenne, di per sé non può giustificare in alcun modo la pretesa di ottenere dal governo provvedimenti ad hoc, che introducano dosi più elevate di inquinamento elettromagnetico, legittimando migliaia di nuove macro antenne nel già brutalizzato skyline delle nostre città!

I dati ARPA descrivono che le reti delle tecnologie precedenti ed attuali (2G, 3G e 4G) non superano affatto i livelli di emissione imposti dalla legge. Le antenne 5G, essendo, per caratteristiche tecniche, più densamente diffuse nel territorio, sprigionano un segnale meno potente delle precedenti generazioni.

Allora, ecco spiegata la corsa ad alleggerire i tetti di emissione elettromagnetica: fattori economici e non tecnologici hanno spinto gli operatori, attraverso il ricorso alle Tower Company (società di gestione delle infrastrutture), a puntare a ridurre il numero degli impianti nel territorio, per contenere gli investimenti.

Inoltre, la volontà di convogliare le reti di tutti i gestori su un sistema di torri di comunicazione cellulare non favorisce la diffusione capillare della qualità dei servizi, soprattutto nelle aree definite “bianche” (a fallimento di mercato) e “grigie” (parzialmente coperte). Quindi, minor numero di impianti e maggiore concentrazione di sistemi radianti!

B. V’è un altro rischio connesso al paventato aumento dei limiti elettromagnetici e sono i tecnici ARPA a denunciarlo: adeguare i limiti a quelli europei, senza rimuovere i meccanismi di deroga vigenti in Italia, significa innalzarli ulteriormente!

Le deroghe legislative introdotte in Italia con una serie di provvedimenti (L. 221/2107-Decreto Crescita, Linee Guida ministeriali, Delibere SNPA), hanno modificato sia i metodi di misurazione, che la loro valutazione previsionale, introducendo fattori di riduzione che determinano analisi preventive su valori di potenza inferiori a quelli effettivamente concessionati e, quindi, potenzialmente con esposizioni per la popolazione superiori a quelle previste.

Pertanto, se non eliminati o, quantomeno, armonizzati, potrebbero dare luogo a situazioni fuori controllo, soprattutto nella applicazione delle nuove tecnologie!

C. Vi è, ancora, un altro aspetto che dovrebbe indurre il Governo ad orientare le proprie scelte verso soluzioni di minimizzazione del rischio sotto il profilo della esposizione ai campi elettromagnetici: i Criteri Ambientali Minimi (CAM).

Si tratta di una indicazione specifica, oggetto di un provvedimento del Ministero dell’Ambiente (oggi Transizione Ecologica), varato con D.M. 24.12.2015 (G.U. n. 16 21.01.2016), contenuto nel Piano d’Azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della P.A., attraverso cui si mira a ridurre l’inquinamento elettromagnetico indoor a radiofrequenze, con la previsione di specifici criteri edilizi, in alternativa alla tecnologia wireless, nella progettazione o ristrutturazione degli edifici pubblici (cablatura, PLC).

LA PROPOSTA

Piuttosto – ed ecco il senso della proposta contenuta nel presente documento –, si coinvolgano maggiormente gli enti locali, a cui già spetta ope legis disciplinare l’assetto urbanistico delle stazioni radio base nei territori di competenza: infatti, pianificare una corretta ubicazione delle infrastrutture, significa soddisfare le esigenze di copertura delle reti, e, al contempo, ridurre le esposizioni ai cem per la popolazione.

L’attuale ministro per la transizione digitale, Vittorio Colao, al tempo in cui fu nominato dal governo precedente, a capo di una task force di esperti per realizzare l’accelerazione del sistema 5G, produsse un documento, in cui spiccavano due elementi giudicati strategici:

  •   l’adeguamento dei “livelli di emissione elettromagnetica in Italia ai valori europei…”
  •   l’esclusione della “opponibilità locale se i protocolli nazionali sono rispettati…”.

Sul primo punto ci siamo già espressi, sul secondo, la richiesta mirava ad affievolire gli strumenti di gestione delle antenne per i comuni, ovvero i regolamenti e la pianificazione.

Il preteso “adeguamento dei limiti elettromagnetici”, invocato in nome di un pur condivisibile progresso tecnologico e col pretesto di colmare il digital divide, si trasforma, così, in un processo di delegittimazione di cittadini ed enti locali, incapaci – si dice – di saper cogliere le occasioni di rilancio dell’economia nel settore delle comunicazioni elettroniche, eppur sempre pronti a condurre battaglie di cortile per la difesa del proprio orticello (sindrome Nimby)!

Questa incursione di Colao, diretta a depotenziare le prerogative degli enti locali e culminata con l’approvazione, nel Decreto Semplificazioni – DL 76/2020 -, di alcune disposizioni di snellimento delle procedure autorizzatorie, ha suscitato allarme e agitazione nelle comunità locali, al punto da costringere l’ANCI ad intervenire pesantemente, stigmatizzando la proposta e bollandola come provvedimento suscettibile di “effetti indesiderati”.

Sostiene, giustamente, ANCI, che i cittadini e le comunità locali vanno accompagnati per comprendere ed accogliere le nuove tecnologie, non puniti con espedienti che esautorano la gestione e il controllo dei processi autorizzativi!

In questo modo, conclude ANCI, si rischia di innalzare il livello conflittuale tra comuni e Telco!

Viceversa, il ricorso ai regolamenti e alla pianificazione – disciplinato nell’art. 8, 6° comma L. 36/2001 – rappresenta un modello di gestione del territorio virtuoso e inclusivo, capace di realizzare l’invocato bilanciamento degli interessi pubblici di tutti i soggetti coinvolti (minimizzazione della esposizione, corretta ubicazione degli impianti, copertura delle reti tlc).

Le amministrazioni comunali, che hanno volontariamente sperimentato questa opportunità, si sono trasformate da soggetti passivi a protagonisti di un processo propositivo e dinamico.

Dunque, innalzare i limiti elettromagnetici in Italia significa scardinare il Principio di Precauzione recepito nell’art. 1 della Legge Quadro, sprofondando il nostro Paese nel vortice del far west elettromagnetico.

Viceversa, difendere gli attuali limiti, auspicandone, anzi, una revisione al ribasso, non deve significare un modo per arginare le tecnologie emergenti (compreso il 5G), ma l’unico motivo per tutelare la popolazione da una esposizione all’inquinamento elettromagnetico altrimenti irragionevole e rischiosa.

In sintesi, è urgente e prioritario:

1.  Mantenere gli attuali limiti di emissione elettromagnetica, di cui al DPCM 8.07.2003;

2.  Eliminare o, quanto meno, armonizzare i fattori di deroga introdotti ai sensi del Decreto Crescita e successivi provvedimenti, con le soglie elettromagnetiche attualmente vigenti, alla luce dei rischi di sovraesposizione stimati;

3.  Estendere a tutti gli edifici del territorio italiano l’applicazione dei criteri CAM, per tutelare la popolazione dalle esposizioni elettromagnetiche indoor;

4.  Rilanciare l’applicazione degli strumenti di gestione del territorio (Regolamento e Pianificazione), ai sensi dell’art. 8, comma 6, L. 36/2001. Al riguardo, è opportuno inserire nel PNRR un apposito fondo di incentivazione, dedicato a Comuni ed Enti locali, per favorire, in forma virtuosa, la gestione della localizzazione delle infrastrutture di comunicazione elettronica nel proprio territorio.

5.  Programmare specifiche sessioni di ricerca scientifica, epidemiologica e sanitaria indipendente, finalizzate ad approfondire le interazioni delle nuove tecnologie emergenti (5G e 6G) con la salute umana.

Dott. Giuseppe Teodoro – Vice Presidente di Ecoland

Consulente delle amministrazioni comunali per le politiche di gestione territoriale delle infrastrutture di comunicazione elettronica.

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